Internazionalizzazione a 360 gradi: intervista al Giulio Simoni, Temporary Export Manager

Internazionalizzazione a 360 gradi: intervista al Giulio Simoni, Temporary Export Manager

Insieme a Giulio Simoni, consulente nell’ambito delle attività del Progetto SEFFood, approfondiamo il ruolo del Temporary Export Manager interrogandoci sulle strategie che possono favorire l’internazionalizzazione delle PMI nel settore degli alimenti funzionali per penetrare nuovi mercati, trovare nuovi clienti, distributori e partner ed espandere il business oltre i propri confini.

 

Quali sono le sfide principali che le aziende, e in particolare le PMI che operano nel settore degli alimenti funzionali, possono incontrare nell’affrontare il processo di internazionalizzazione?

 

Le sfide per le aziende del settore degli alimenti funzionali che intendono intraprendere un percorso di internazionalizzazione sono molteplici.  Innanzi tutto, la difficoltà di identificare il proprio partner ideale nel caso di joint venture o di partnership con entità estere, soprattutto quando si parla di paesi lontani, con lingue e culture diverse. Da questo punto di vista è importante disporre di una valutazione finanziaria o comunque di un’analisi economica patrimoniale in modo da essere sicuri che le energie non siano spese inutilmente. Un’altra sfida importante è la disponibilità di risorse professionali predisposte a lavorare con particolari aree di mercato.  Avere all’interno dell’azienda una persona con le necessarie competenze per affrontare mercati sconosciuti e spesso molto lontani, non solo geograficamente, non è facile e rappresenta un ostacolo non da poco.  Un aiuto in questo senso può arrivare da una valutazione interna sui vari punti di forza e di debolezza, in modo tale da impostare le varie attività in funzione delle competenze presenti in azienda. E’ importante la competitività in termini di costo rispetto ai prodotti già presenti sul mercato di riferimento specialmente in un settore ultra-competitivo come quello degli alimenti funzionali.  Molto spesso si fanno pianificazioni e strategie in funzione della vendita di prodotti in alcuni mercati ma ci si rende conto che ci sono degli articoli analoghi che vengono venduti a prezzi molto più bassi per cui è difficile inserirsi nel mercato. Una valutazione del costo o dell’equivalenza di prodotti analoghi è importante per capire se il prodotto avrà successo o meno.

 

Come può essere adattata la strategia di internazionalizzazione per soddisfare le esigenze specifiche delle PMI coinvolte nel progetto?

 

Purtroppo, non esiste un’unica strategia valida per tutte le aziende occorre invece adattarla sulla base delle proprie caratteristiche con la consapevolezza che ogni mercato, ogni prodotto e ogni singolo progetto devono avere un approccio diverso e su misura per poter aver successo. È l’azienda stessa che deve elaborare nel modo più approfondito possibile la strategia da adottare per ogni tipologia di prodotto e di mercato specifico.  Anche in caso di prodotti diversi e mercati eterogenei è sempre interessante e proficuo collaborare e confrontarsi con altre aziende, anche con tipologie di prodotti diversi, perché consente di fare un confronto delle relative esperienze.

 

L’export è solo una delle forme con cui un’impresa opera nei mercati internazionali. Quali altre forme di internazionalizzazione possono aiutare le aziende a crescere e ad operare al meglio nei mercati globali?

 

L’internazionalizzazione non fa solo riferimento alla vendita sui mercati esteri ma può assumere anche altre forme, per esempio, la ricerca di un network internazionale di partner strategici per la vendita del prodotto finito o, addirittura, l’identificazione di fornitori locali di intermedi o altri prodotti che vengono utilizzati per la produzione del prodotto finito. Vorrei fare l’esempio di un caso particolare a cui ho lavorato per far capire meglio l’importanza di affrontare l’internazionalizzazione in modo globale e sistemico. Un’azienda finlandese che produce un concentrato di mirtillo voleva vendere il prodotto finito ed imbottigliato nel mercato cinese. Si trattava di un progetto molto ambizioso….con un mercato finale alquanto problematico. Sono stati dunque definiti gli eventuali partner che potessero aiutare a sviluppare questo progetto. Il primo partner è stata un’azienda cinese con cui era stata definita la formula per il succo di mirtillo più idoneo al mercato locale in termini di sapore bisognava però affrontare il problema del costo, nel senso che il mercato cinese offre grandi opportunità in termini di volumi, ma i prodotti già presenti sul mercato hanno anche costi molto bassi. Cosa è stato fatto? È stato quindi identificato un secondo partner in Bulgaria, un’azienda di packaging che produce il prodotto finito in bottiglie, idonea a livello di specifiche tecniche richieste. In questo modo si sono potute produrre bottiglie ad un costo accettabile per essere vendute sul mercato cinese. Attraverso il partner bulgaro è stato possibile inoltre sfruttare anche le agevolazioni bilaterali a livello di dazi doganali che hanno consentito quindi anche una riduzione degli stessi per l’esportazione del prodotto finito in Cina. Infine, attraverso un distributore locale il prodotto finito è stato venduto sul mercato cinese per conto dell’azienda finlandese. Un caso del genere conferma che l’identificazione di partner locali non solo nel mercato finale ma anche in mercati terzi possono contribuire ad aumentare la competitività del prodotti riducendone i costi.

 

In contesti di mercato soggetti a continue turbolenze, una delle grandi sfide che affrontano le imprese è quella di poter contare sulla continuità della supply chain per garantire il servizio ai clienti e al mercato. In questo senso, quali suggerimenti può dare nell’ottica di ampliare lo spettro dei fornitori di materie prime o di componenti indispensabili per il prodotto finale?

 

L’aspetto della continuità della supply chain oggigiorno è sempre più importante: sia nell’ambito delle forniture utilizzate per la produzione di alimenti che in quello delle piante per la produzione di derivati od estratti. L’unico suggerimento che oggi è possibile dare è quello della diversificazione geografica delle forniture sviluppando supply chain in emisferi diversi. Sfruttando così periodi di raccolta diversi si può sopperire alla mancanza di prodotto che molto spesso, quando si tratta di piante, costringe a lunghe sospensioni in attesa del raccolto successivo. Sfruttando la diversificazione su scala globale è possibile sopperire a mancanze temporanee di materie prime e, a volte, si possono anche ottenere anche altri vantaggi di tipo economico.

 

Quali strategie è possibile adottare per mitigare e gestire i rischi derivanti dalle catene di fornitura di ingredienti “particolari” e “rari” come possono essere i principi attivi, estratti, intermedi o molecole costituenti principali delle formulazioni nutraceutiche e degli alimenti funzionali?

 

La catena di fornitura di ingredienti naturali come estratti o intermedi utilizzati nel settore alimentare ha vissuto negli ultimi anni un’evoluzione che ha portato le aziende ad essere soggette a limiti sempre più restrittivi per quanto riguarda i livelli di contaminanti, rendendo sempre più difficile la commercializzazione di alcuni prodotti. Il mio suggerimento a questo proposito è sempre di identificare dei fornitori che abbiano il pieno controllo della filiera e, quindi, siano in grado di presidiare la filiera dal campo, passando per la produzione dell’intermedio, fino al prodotto che viene utilizzato dal consumatore.  Un controllo della filiera completo permette anche di ridurre i rischi della presenza di contaminanti che oggigiorno in Europa hanno dei limiti sempre più restrittivi.  La conseguente difficoltà nel reperire estratti o componenti idonei obbligano molte aziende europee a sostenere costi elevatissimi per identificare le materie prime conformi. Il controllo della filiera richiede logicamente una presenza sul campo per permettere anche di controllare tutte le fasi della produzione dalla coltivazione su terreni non contaminati alla riduzione dell’utilizzo di prodotti chimici fino al controllo delle acque di irrigazione. Grazie al controllo totale della filiera anche paesi come la Cina e l’India possono oggi fornire materie prime per la produzione di estratti e alimenti rispettando gli standard europei.